CULTURA

LA DIVINA COMMEDIA CATTOLICA

PURGATORIO

Testi tratti dal sito divinacommedia.weebly e selezionati da alevite79

CANTO V (10-18)

 

«Perché l’animo tuo tanto s’impiglia»,

disse ‘l maestro, «che l’andare allenti?

che ti fa ciò che quivi si pispiglia?

 

Vien dietro a me, e lascia dir le genti:

sta come torre ferma, che non crolla

già mai la cima per soffiar di venti;

 

ché sempre l’omo in cui pensier rampolla

sovra pensier, da sé dilunga il segno,

perché la foga l’un de l’altro insolla».

PARAFRASI

 

Il maestro mi disse: «Perché il tuo animo si lascia distrarre al punto di rallentare il cammino? che t'importa di ciò che si mormora qui?

 

Seguimi e lascia che la gente parli: sta' come una torre salda, che non ondeggia mai la sua cima per quanto i venti soffino;

 

infatti, l'uomo in cui un pensiero ne fa nascere un altro allontana da sé la propria meta, perché la forza dell'uno indebolisce quella dell'altro».


CANTO VII (121-123)

 

Rade volte risurge per li rami

l’umana probitate; e questo vole

quei che la dà, perché da lui si chiami.

PARAFRASI

 

Accade di rado che la virtù umana si trasmetta di padre in figlio, e questo è voluto da Dio che la concede, perché la si chieda a Lui.


CANTO X ( 106-111)

 

Non vo’ però, lettor, che tu ti smaghi

di buon proponimento per udire

come Dio vuol che ‘l debito si paghi.

 

Non attender la forma del martìre:

pensa la succession; pensa ch’al peggio,

oltre la gran sentenza non può ire.

PARAFRASI

 

Non voglio però, o lettore, che tu ti distolga dal tuo buon proposito sentendo in che modo Dio vuole che si sconti la colpa.

 

Non concentrare l'attenzione sulla forma della pena: pensa a ciò che la seguirà (la beatitudine); pensa che, nel peggiore dei casi, non può protrarsi oltre il Giudizio Finale.


CANTO X (121-129)

 

O superbi cristian, miseri lassi,

che, de la vista de la mente infermi,

fidanza avete ne’ retrosi passi,

 

non v’accorgete voi che noi siam vermi

nati a formar l’angelica farfalla,

che vola a la giustizia sanza schermi?

 

Di che l’animo vostro in alto galla,

poi siete quasi antomata in difetto,

sì come vermo in cui formazion falla?

PARAFRASI

 

O superbi cristiani, poveri infelici con la mente ottenebrata, che avete fiducia nei vostri passi rivolti all'indietro,

 

non vi accorgete che noi siamo dei vermi, destinati a formare una farfalla angelica che vola senza intralci alla giustizia divina?

 

A che titolo il vostro animo insuperbisce, e poi siete simili ad insetti mal formati, proprio come un verme che non si è del tutto sviluppato?


CANTO XI (1-24)

 

«O Padre nostro, che ne’ cieli stai,

non circunscritto, ma per più amore

ch’ai primi effetti di là sù tu hai.

 

laudato sia ‘l tuo nome e ‘l tuo valore

da ogni creatura, com’è degno

di render grazie al tuo dolce vapore.

 

Vegna ver’ noi la pace del tuo regno,

ché noi ad essa non potem da noi,

s’ella non vien, con tutto nostro ingegno.

 

Come del suo voler li angeli tuoi

fan sacrificio a te, cantando osanna,

così facciano li uomini de’ suoi.

 

Dà oggi a noi la cotidiana manna,

sanza la qual per questo aspro diserto

a retro va chi più di gir s’affanna.

 

E come noi lo mal ch’avem sofferto

perdoniamo a ciascuno, e tu perdona

benigno, e non guardar lo nostro merto.

 

Nostra virtù che di legger s’adona,

non spermentar con l’antico avversaro,

ma libera da lui che sì la sprona.

 

Quest’ultima preghiera, segnor caro,

già non si fa per noi, ché non bisogna,

ma per color che dietro a noi restaro».

PARAFRASI

 

«O Padre nostro, che sei nei Cieli, non limitato da essi, ma per il maggiore amore che provi per le tue prime creature,

 

sia lodato il tuo nome e la tua potenza da ogni creatura, come è giusto rendere grazie alla tua dolce sapienza.

 

Venga per noi la pace del tuo regno, poiché noi non possiamo salire ad essa con le nostre forze, se non ci viene data, anche se ci impegniamo in ogni modo.

Come i tuoi angeli fanno sacrificio a te della loro volontà, cantando 'osanna', così facciano gli uomini della loro.

 

Dacci oggi la nostra manna quotidiana, senza la quale in questo aspro deserto (la Terra) chi più cerca di avanzare, tanto più cammina a ritroso.

 

E come noi perdoniamo a ciascuno le offese subìte, anche tu perdona a noi, benevolo, e non guardare i nostri meriti.

 

Non mettere alla prova con il demonio la nostra virtù, che si abbatte facilmente, ma liberaci da lui che la stimola in tal modo.

 

Quest'ultima preghiera, Signore caro, non la facciamo per noi, che non ne abbiamo bisogno, ma per coloro che abbiamo lasciato tra i vivi».


CANTO XI (31-36)

 

Se di là sempre ben per noi si dice,

di qua che dire e far per lor si puote

da quei ch’hanno al voler buona radice?

 

Ben si de’ loro atar lavar le note

che portar quinci, sì che, mondi e lievi,

possano uscire a le stellate ruote.

PARAFRASI

 

Se in Purgatorio quelle anime dicono sempre bene per noi, sulla Terra cosa si può dire e fare per loro da parte di quelli che sono disposti al bene?

Certo bisogna aiutarli a lavare i loro peccati che portano dalla Terra, cosicché, purificati e lavati, possano salire al Cielo.


CANTO XI (100-102)

 

Non è il mondan romore altro ch’un fiato

di vento, ch’or vien quinci e or vien quindi,

e muta nome perché muta lato.

PARAFRASI

 

La fama terrena non è altro che un alito di vento, che ora spira da una parte e ora dall'altra, e cambia nome a seconda della direzione.


CANTO XII (70-72)

Or superbite, e via col viso altero, 
figliuoli d’Eva, e non chinate il volto 
sì che veggiate il vostro mal sentero!

PARAFRASI

Allora insuperbite, figli di Eva, e andate avanti col viso altero, e non chinate lo sguardo per vedere il vostro cammino malvagio!  (senso ironico)


CANTO XIV (142 -151)

 

Già era l’aura d’ogne parte queta;

ed el mi disse: «Quel fu ‘l duro camo

che dovria l’uom tener dentro a sua meta.

 

Ma voi prendete l’esca, sì che l’amo

de l’antico avversaro a sé vi tira;

e però poco val freno o richiamo.

 

Chiamavi ‘l cielo e ‘ntorno vi si gira,

mostrandovi le sue bellezze etterne,

e l’occhio vostro pur a terra mira;

onde vi batte chi tutto discerne».

PARAFRASI

 

L'aria era tornata silenziosa; ed egli mi disse: «Quello fu il duro freno che dovrebbe tenere l'uomo entro i suoi limiti.

 

Ma voi abboccate all'esca, così che l'amo del demonio vi attira a sé; e dunque servono a poco il freno o il richiamo.

 

Il Cielo vi chiama e vi gira attorno, mostrandovi le sue eterne attrattive, e il vostro sguardo è sempre rivolto a terra: per questo chi vede tutto (Dio) vi castiga».


CANTO XV (49-75)

 

Perché s’appuntano i vostri disiri

dove per compagnia parte si scema,

invidia move il mantaco a’ sospiri.

 

Ma se l’amor de la spera supprema

torcesse in suso il disiderio vostro,

non vi sarebbe al petto quella tema;

 

ché, per quanti si dice più lì ‘nostro’,

tanto possiede più di ben ciascuno,

e più di caritate arde in quel chiostro».

 

«Io son d’esser contento più digiuno»,

diss’io, «che se mi fosse pria taciuto,

e più di dubbio ne la mente aduno.

 

Com’esser puote ch’un ben, distributo

in più posseditor, faccia più ricchi

di sé, che se da pochi è posseduto?».

 

Ed elli a me: «Però che tu rificchi

la mente pur a le cose terrene,

di vera luce tenebre dispicchi.

 

Quello infinito e ineffabil bene

che là sù è, così corre ad amore

com’a lucido corpo raggio vene.

 

Tanto si dà quanto trova d’ardore;

sì che, quantunque carità si stende,

cresce sovr’essa l’etterno valore.

 

E quanta gente più là sù s’intende,

più v’è da bene amare, e più vi s’ama,

e come specchio l’uno a l’altro rende.

PARAFRASI

 

L'invidia spinge a sospirare perché i vostri desideri si concentrano su quei beni il cui possesso diminuisce, quanti più sono coloro che li possiedono.

Ma se l'amore dell'Empireo indirizzasse il vostro desiderio verso l'alto, il petto non avrebbe quel timore;

 

infatti in Cielo, quanto più numerosi sono coloro che godono di un bene, tanto maggiore è il bene posseduto, e più carità arde in quel sacro luogo».

 

Io dissi: «Sono più lontano dall'essere soddisfatto che se non ti avessi chiesto nulla, e nella mia mente nutro ancora più dubbi.

 

Come può essere che un bene, distribuito fra più possessori, renda quelli più ricchi di sé che se fosse goduto da pochi?»

 

E lui a me: «Poiché tu pensi solo ai beni terreni, ricavi delle tenebre dalla vera luce.

 

 

Quel bene infinito e inesprimibile che è lassù in Cielo, corre all'amore proprio come il raggio luminoso va verso un corpo lucido.

 

Si concede tanto più, quanto più trova l'ardore di carità; cosicché, quanto si estende la carità di ognuno, tanto più aumenta in lui l'eterno bene.

 

E quanta più gente lassù si ama, tanto più bene vi è da amare e tanto più si ama, e l'amore si riflette dall'uno all'altro come la luce da uno specchio.


CANTO XVI ( 58-94)

 

Lo mondo è ben così tutto diserto

d’ogne virtute, come tu mi sone,

e di malizia gravido e coverto;

 

ma priego che m’addite la cagione,

sì ch’i’ la veggia e ch’i’ la mostri altrui;

ché nel cielo uno, e un qua giù la pone».

 

Alto sospir, che duolo strinse in «uhi!»,

mise fuor prima; e poi cominciò: «Frate,

lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui.

 

Voi che vivete ogne cagion recate

pur suso al cielo, pur come se tutto

movesse seco di necessitate.

 

Se così fosse, in voi fora distrutto

libero arbitrio, e non fora giustizia

per ben letizia, e per male aver lutto.

 

Lo cielo i vostri movimenti inizia;

non dico tutti, ma, posto ch’i’ ‘l dica,

lume v’è dato a bene e a malizia,

 

e libero voler; che, se fatica

ne le prime battaglie col ciel dura,

poi vince tutto, se ben si notrica.

 

A maggior forza e a miglior natura

liberi soggiacete; e quella cria

la mente in voi, che ‘l ciel non ha in sua cura.

 

Però, se ’l mondo presente disvia,

in voi è la cagione, in voi si cheggia;

e io te ne sarò or vera spia.

 

Esce di mano a lui che la vagheggia

prima che sia, a guisa di fanciulla

che piangendo e ridendo pargoleggia,

 

l’anima semplicetta che sa nulla,

salvo che, mossa da lieto fattore,

volontier torna a ciò che la trastulla.

 

Di picciol bene in pria sente sapore;

quivi s’inganna, e dietro ad esso corre,

se guida o fren non torce suo amore.

 

 

Onde convenne legge per fren porre;

PARAFRASI

 

Il mondo è del tutto privo di ogni virtù cortese, come tu mi dici, e pieno di ogni malizia;

 

ma ti prego di indicarmene la causa, così che io la comprenda e la mostri agli altri; infatti alcuni la pongono nelle influenze celesti, altri nei comportamenti umani».

 

Dapprima emise un profondo sospiro, che poi si tramutò in «uhi!»; poi iniziò: «Fratello, il mondo è cieco e tu dimostri di venire da lì.

 

Voi che siete in vita riconducete la causa di tutto al Cielo, come se esso determinasse ogni cosa necessariamente.

 

Se fosse così, in voi non ci sarebbe più il libero arbitrio, e non sarebbe giusto essere premiati per la virtù, ed essere puniti per la colpa.

 

Il Cielo inizia i vostri movimenti, e neppure tutti; ma anche ammettendo ciò, voi siete in grado di distinguere il bene dal male,

e avete il libero arbitrio; il quale, se anche incontra difficoltà nelle prime battaglie con gli influssi astrali, poi vince ogni cosa, purché venga ben nutrito.

 

Voi siete soggetti, liberi, a una forza maggiore e a una natura migliore (Dio); e quella crea in voi l'intelletto, che il cielo non ha in suo potere.

 

Perciò, se il mondo attuale pecca, la ragione è in voi e a voi deve essere attribuita; e io ora te ne darò una dimostrazione.

 

L'anima semplice, che non sa nulla, esce dalle mani di Colui (Dio) che la ama, prima di essere formata, come una fanciulla, che piange e ride

 

senza saperne il motivo, salvo che, mossa da un lieto Creatore, torna volentieri a ciò che le dà piacere.

 

Dapprima sente il sapore dei beni di scarso rilievo; qui s'inganna e corre dietro ad essi, a meno che una guida o un freno non distolga il suo amore mal riposto.

 

Per questo fu necessario porre dei freni con le leggi;


CANTO XVII (85-139)

 

Ed elli a me: «L’amor del bene, scemo

del suo dover, quiritta si ristora;

qui si ribatte il mal tardato remo.

 

Ma perché più aperto intendi ancora,

volgi la mente a me, e prenderai

alcun buon frutto di nostra dimora».

 

«Né creator né creatura mai»,

cominciò el, «figliuol, fu sanza amore,

o naturale o d’animo; e tu ‘l sai.

 

Lo naturale è sempre sanza errore,

ma l’altro puote errar per malo obietto

o per troppo o per poco di vigore.

 

Mentre ch’elli è nel primo ben diretto,

e ne’ secondi sé stesso misura,

esser non può cagion di mal diletto;

 

ma quando al mal si torce, o con più cura

o con men che non dee corre nel bene,

contra ‘l fattore adovra sua fattura.

 

Quinci comprender puoi ch’esser convene

amor sementa in voi d’ogne virtute

e d’ogne operazion che merta pene.

 

Or, perché mai non può da la salute

amor del suo subietto volger viso,

da l’odio proprio son le cose tute;

 

e perché intender non si può diviso,

e per sé stante, alcuno esser dal primo,

da quello odiare ogne effetto è deciso.

 

Resta, se dividendo bene stimo,

che ‘l mal che s’ama è del prossimo; ed esso

amor nasce in tre modi in vostro limo.

 

È chi, per esser suo vicin soppresso,

spera eccellenza, e sol per questo brama

ch’el sia di sua grandezza in basso messo;

 

è chi podere, grazia, onore e fama

teme di perder perch’altri sormonti,

onde s’attrista sì che ‘l contrario ama;

 

ed è chi per ingiuria par ch’aonti,

sì che si fa de la vendetta ghiotto,

e tal convien che ‘l male altrui impronti.

 

Questo triforme amor qua giù di sotto

si piange; or vo’ che tu de l’altro intende,

che corre al ben con ordine corrotto.

 

Ciascun confusamente un bene apprende

nel qual si queti l’animo, e disira;

per che di giugner lui ciascun contende.

 

Se lento amore a lui veder vi tira

o a lui acquistar, questa cornice,

dopo giusto penter, ve ne martira.

 

Altro ben è che non fa l’uom felice;

non è felicità, non è la buona

essenza, d’ogne ben frutto e radice.

 

L’amor ch’ad esso troppo s’abbandona,

di sovr’a noi si piange per tre cerchi;

ma come tripartito si ragiona,

 

tacciolo, acciò che tu per te ne cerchi». 

PARAFRASI

 

E lui a me: «Qui si espia l'amore del bene, quando è mancante del suo dovere; qui si ribatte il remo che fu troppo lento in vita.

 

Ma affinché tu comprenda ancora più chiaramente, rivolgi a me la tua attenzione e avrai qualche buon frutto dalla nostra sosta».

 

Cominciò: «Né il Creatore (Dio), nè alcuna creatura, figliolo, fu mai senza amore, o naturale o d'elezione, e lo sai bene.

 

L'amore naturale è sempre corretto, mentre l'altro può errare perché rivolto a un oggetto sbagliato, oppure per vigore scarso o eccessivo.

 

Finché l'amore è diretto verso il primo bene (Dio) ed è equilibrato verso gli altri (i beni terreni), non ci può essere alcun piacere peccaminoso;

 

ma quando si indirizza al male o corre al bene con minore o maggiore sollecitudine di quanto dovrebbe, allora la creatura opera contro il suo Creatore (pecca).

Da ciò puoi capire che l'amore necessariamente in voi è causa di ogni virtù e di ogni azione meritevole di essere punita.

 

Ora, poiché l'amore non può mai agire contro la salvezza del proprio soggetto, le creature sono sicure rispetto all'odio verso se stesse;

 

e poiché nessuna creatura può essere separata da Dio né stare per se stessa, è impossibile odiare Dio.

 

Resta, se la mia classificazione è esatta, che l'amore mal diretto vuole il male del prossimo; e questo amore nella vostra natura nasce in tre modi diversi.

Vi è chi spera di primeggiare calpestando il suo vicino, e solo per questo desidera che quello perda la sua grandezza;

 

vi è chi teme di perdere potere, favore, onore e fama se un altro lo supera, per cui si rattrista al punto da desiderare l'opposto;

 

e vi è chi sembra adombrarsi per aver ricevuto un'offesa al punto di desiderare la vendetta, e quindi predispone il male altrui.

 

Questo triplice amore è punito nelle Cornici sottostanti; ora voglio che tu pensi all'altro, che corre al bene in modo sbagliato.

 

Ognuno concepisce in modo confuso un bene supremo, tale da soddisfare l'anima, e lo desidera; ognuno cerca quindi di raggiungerlo.

 

Se siete indotti a cercarlo o a raggiungerlo con un amore troppo debole, questa Cornice ve ne fa scontare la giusta pena, dopo il pentimento.

 

Vi sono altri beni che non rendono felice l'uomo; non è la vera felicità, non è la buona essenza che è frutto e radice di ogni bene.

 

L'amore che si abbandona eccessivamente a questi beni (terreni) è punito nelle tre Cornici soprastanti;

 

ma non ti dico in che modo esso è tripartito, in modo che tu lo ricerchi di tua iniziativa»


CANTO XVIII (19-75)

 

L’animo, ch’è creato ad amar presto,

ad ogne cosa è mobile che piace,

tosto che dal piacere in atto è desto.

 

Vostra apprensiva da esser verace

tragge intenzione, e dentro a voi la spiega,

sì che l’animo ad essa volger face;

 

e se, rivolto, inver’ di lei si piega,

quel piegare è amor, quell’è natura

che per piacer di novo in voi si lega.

 

Poi, come ‘l foco movesi in altura

per la sua forma ch’è nata a salire

là dove più in sua matera dura,

 

così l’animo preso entra in disire,

ch’è moto spiritale, e mai non posa

fin che la cosa amata il fa gioire.

 

Or ti puote apparer quant’è nascosa

la veritate a la gente ch’avvera

ciascun amore in sé laudabil cosa;

 

però che forse appar la sua matera

sempre esser buona, ma non ciascun segno

è buono, ancor che buona sia la cera».

 

«Le tue parole e ‘l mio seguace ingegno»,

rispuos’io lui, «m’hanno amor discoverto,

ma ciò m’ha fatto di dubbiar più pregno;

 

ché, s’amore è di fuori a noi offerto,

e l’anima non va con altro piede,

se dritta o torta va, non è suo merto».

 

Ed elli a me: «Quanto ragion qui vede,

dir ti poss’io; da indi in là t’aspetta

pur a Beatrice, ch’è opra di fede.

 

Ogne forma sustanzial, che setta

è da matera ed è con lei unita,

specifica vertute ha in sé colletta,

 

la qual sanza operar non è sentita,

né si dimostra mai che per effetto,

come per verdi fronde in pianta vita.

 

Però, là onde vegna lo ‘ntelletto

de le prime notizie, omo non sape,

e de’ primi appetibili l’affetto,

 

che sono in voi sì come studio in ape

di far lo mele; e questa prima voglia

merto di lode o di biasmo non cape.

 

Or perché a questa ogn’altra si raccoglia,

innata v’è la virtù che consiglia,

e de l’assenso de’ tener la soglia.

 

Quest’è ‘l principio là onde si piglia

ragion di meritare in voi, secondo

che buoni e rei amori accoglie e viglia.

 

Color che ragionando andaro al fondo,

s’accorser d’esta innata libertate;

però moralità lasciaro al mondo.

 

Onde, poniam che di necessitate

surga ogne amor che dentro a voi s’accende,

di ritenerlo è in voi la podestate.

 

La nobile virtù Beatrice intende

per lo libero arbitrio, e però guarda

che l’abbi a mente, s’a parlar ten prende». 

PARAFRASI

 

L'anima, che è creata con la disposizione ad amare, si muove verso ogni cosa che le piace, non appena tale disposizione è posta in atto dalla cosa piacevole.

La vostra facoltà conoscitiva trae l'immagine da una cosa reale e la elabora dentro di voi, così che spinge l'anima a indirizzarsi verso di essa;

 

e se l'anima, così indirizzata, si volge verso quella cosa, questo atto è amore, è un atteggiamento naturale che primariamente si lega in voi per la cosa piacevole.

Poi, come il fuoco si leva verso l'alto per la sua natura, che lo spinge a salire là dove la sua materia dura più a lungo (nella sfera del fuoco),

 

così l'animo preso da amore nutre il desiderio, che è un movimento dello spirito, e non cessa per tutto il tempo in cui la cosa amata gli dà gioia.

 

Ora puoi capire quanto è nascosta la verità a coloro che affermano che ogni amore è lodevole di per se stesso;

 

poiché forse la sua materia è sempre buona, ma non lo è ogni sigillo, anche se la cera è buona (l'amore in potenza è buono, non sempre lo è in atto)».

Io gli risposi: «Le tue parole e il mio ingegno smanioso di seguirti mi hanno spiegato la natura dell'amore, ma ciò mi spinge ancor più a dubitare;

 

infatti, se l'amore ci è offerto dalla realtà esterna e l'anima non può fare a meno di esservi indotta, non è suo merito o sua colpa se agisce in modo giusto o sbagliato».

E lui a me: «Io ti posso dire ciò che la ragione umana comprende; per tutto ciò che va oltre ti rimando a Beatrice, poiché ciò è argomento di fede.

Ogni anima, che è separata dalla materia e al tempo stesso unita ad essa, ha raccolta in sé una specifica disposizione,

 

la quale non è avvertita se non agisce, né è visibile se non produce i suoi effetti, come la vita nella pianta si vede attraverso le foglie verdi.

 

Perciò l'uomo ignora da dove venga la conoscenza delle prime nozioni (assiomi) e l'amore verso i primi beni,

 

che sono connaturati in voi come nell'ape l'attitudine a produrre il miele; e questa prima inclinazione non è degna di lode o di biasimo.

 

Ora, perché a questa disposizione si conformino tutte le altre, è innata in voi una virtù che dà consigli (libero arbitrio), che deve dare o negare il consenso ad agire.

Questo è il principio da dove nasce in voi il merito o il biasimo, a seconda che esamini e separi gli amori buoni e quelli cattivi.

 

Coloro che ragionando andarono al fondo della questione (i filosofi) si accorsero di questa libertà innata; per questo elaborarono per il mondo la morale (etica).

Dunque, anche ammettendo che ogni amore nasca in voi in modo necessario, voi avete il potere di tenerlo a freno.

 

Beatrice chiama questa nobile virtù 'libero arbitrio', e dunque bada di ricordartene, se lei te ne dovesse parlare».


CANTO XXII (142-154)

 

Poi disse: «Più pensava Maria onde

fosser le nozze orrevoli e intere,

ch’a la sua bocca, ch’or per voi risponde.

 

E le Romane antiche, per lor bere,

contente furon d’acqua; e Daniello

dispregiò cibo e acquistò savere.

 

Lo secol primo, quant’oro fu bello,

fé savorose con fame le ghiande,

e nettare con sete ogne ruscello.

 

Mele e locuste furon le vivande

che nodriro il Batista nel diserto;

per ch’elli è glorioso e tanto grande

 

quanto per lo Vangelio v’è aperto».

PARAFRASI

 

Poi aggiunse: «Maria badava più al fatto che le nozze fossero onorevoli che non alla sua bocca, che ora intercede per voi.

 

E le antiche Romane, per bere, si accontentarono di acqua; e il profeta Daniele disprezzò il cibo e guadagnò la sapienza.

 

Durante la prima età dell'uomo (l'età dell'oro), finché fu aurea, la fame rese appetibili le ghiande e la sete fece diventare nettare ogni ruscello.

 

Miele e locuste furono il cibo che nutrì Giovanni Battista nel deserto; perciò egli è glorioso e tanto grande

 

quanto vi è svelato nel Vangelo».


CANTO XXIII (1-6)

 

Mentre che li occhi per la fronda verde

ficcava io sì come far suole

chi dietro a li uccellin sua vita perde,

 

lo più che padre mi dicea: «Figliuole,

vienne oramai, ché ‘l tempo che n’è imposto

più utilmente compartir si vuole».

PARAFRASI

 

Mentre io spingevo lo sguardo attraverso le fronde verdi dell'albero, proprio come è solito fare chi spreca la vita cacciando gli uccelli,

 

Virgilio (che era più che un padre per me) mi diceva: «Figliolo, vieni via, perché il tempo che ci è concesso deve essere speso in modo più utile».


CANTO XXIV (151-154)

 

E senti’ dir: «Beati cui alluma

tanto di grazia, che l’amor del gusto

nel petto lor troppo disir non fuma,

 

esuriendo sempre quanto è giusto!».

PARAFRASI

 

E sentii che diceva: «Beati coloro che sono tanto illuminati dalla grazia che nel loro petto non nasce un eccessivo desiderio di cibo,

 

avendo sempre fame di giustizia!»


CANTO XXX (118-120)

 

Ma tanto più maligno e più silvestro

si fa ‘l terren col mal seme e non cólto,

quant’elli ha più di buon vigor terrestro.

PARAFRASI

 

Ma un terreno si fa tanto più selvaggio e sterile, con cattive sementi e quando non è coltivato, quanto più esso è dotato di fertilità naturale.